Dicono di lui...

"THE HARTFORD TIMES" (23 maggio 1974)

"Paesani"  Welcome Their Own Mayor

Santo Cugno, the mayor of Canicattini Bagni, was sitting in St. Lucia Hall on Franklin avenue ad talking about his visit here and why he came and the "why" part was very simple. (LEGGI TUTTO)

 

Bill Ryan

Il "CAMMINO" (21 novembre 1993)

Il "Museo Privato" di Santo Cugno Arguzie e proverbi di Canicattini

La sete del recupero delle proprie radici culturali e l'ansia della conservazione della memoria storica hanno ampliato il significato del termine museo. (LEGGI TUTTO)

Carmelo Tuccitto

"LA VOCE DI CANICATTINI" (marzo 1994)

LE PAROLE COME STORIA - Recuperare il nostro linguaggio

Il 22 gennaio, nella sala consiliare del comune, è stato presentato davanti ad ud un folto pubblico il libro "Museo privato" (editore Flaccavento) del nostro concittadino Santo Cugno. Sull'opera hanno parlato....

Opera storica nel senso più ampio del termine dunque, quella che ha fatto Cugno, ma anche lavoro di recupero di un sapere antico, dato che in essa si riflette la saggezza della società contadina "da cui traiamo le nostre origini e di cui forse non ci sentiamo più figli", come con amarezza conclude l'autore. (LEGGI TUTTO)

Vincenzo Ficara

"LA VOCE DI CANICATTINI" (settembre 1994)

UN GENTILUOMO ALL'ANTICA - Ricordo di Santo Cugno

Non conoscevo Santo Cugno prima della pubblicazione del suo aureo libretto che s'intitola "Museo Privato". Pur avendo avuto egli interessi culturali, avendo prestato la sua opera e la sua esperienza anche al compianto Antonino Uccello, suo compaesano, non m'era mai capitato di incontrarlo nel mio itinerario, lungo la mia strada.

Fu un comune amico a farci conoscere. Un giorno entrambi si presentarono nel mio ufficio: due signori anziani e sorridenti, due pronosticanti del tempo o venditori di arcani venuti da chissà quale popolaresca fiaba siciliana. Cugno teneva stretta sotto il braccio una grossa carpetta. Aveva l'aria di un antico gentiluomo, vestito in maniera sobriamente elegante, slanciato nella figura alta e snella, i baffetti curati, gentile nei modi e nel sorriso, l'occhio brillante di intelligenza, piacevolmente profumato con odor di fresco. In quella carpetta egli racchiudeva il suo universo, i fantasmi del suo passato e di quello del suo gruppo sociale, inseguiti per lunghi anni sul trespolo della memoria. Si trattava di un'ampia e magmatica raccolta di proverbi e modi di dire di Canicattini, di mottetti, di arguzie e di massime, iridescenti filamenti del tempo andato, amorosamente sottratti ai malefici dell'oblio, frammenti di una sapienza antica e robusta che aveva costituito per secoli l'unica fonte di verità sociale, la saggezza popolare, ben al di là dei libri e delle filosofie, una sorta di popolare vademecum oralmente tramandato e mai scritto.

Egli mi presentava quella sua ricerca perchè aveva intenzione di salvare almeno le tracce di un mondo, quello della sua infanzia e della sua adolescenza, dagli inesorabili morsi del tempo. Non voleva porsi come laudator temporis acti, lodatore del tempo passato e quindi dispregiatore del presente, ma il suo voleva essere semplicemente un gesto d'amore nei confronti del paese natale, di cui era stato anche amministratore. Un gesto che, escludendo ogni forma di narcisismo o di ricerca di promozione personale (era ultra settantenne, anzi più vicino agli ottant'anni, ma incredibilmente dimostrava molti anni di meno), potesse offrire alle nuove generazioni le occasioni per comprenderle radici del comportamento di un gruppo sociale antropologicamente omogeneo come poteva essere quello di Canicattini, le "nozioni di vita rusticana" come egli stesso felicemente definì il suo lavoro. Per questo egli aveva commentato i vari modi di dire, offrendo anche, lì dove possibile, spiegazioni sulla loro origine e sulle occasioni d'uso.

Dissi che avrei letto con particolare attenzione quelle cartelle.

Ogni libro, si sa, deve avere una sua economia, una sua specificità, una sua precisa identità. La riuscita di un libro dipende anche da questo. Cosa che spesso l'autore, viziato dal suo sentire, dalla sua visione a volte eccessivamente partecipe, non riesce a vedere. A volte le ragioni dell'autore non coincidono con quelle del libro, dei risultati per una serie di motivi che qui non è il caso di elencare. Così, quando chiesi a Cugno di espungere alcune cose dalla sua raccolta, rimase, in un primo tempo, perplesso. Ma di fronte alle ragioni che portavo avanti e, soprattutto, di fronte all'esigenza di dare omogeneità al volumetto, fu signorilmente arrendevole. Riscrisse tutto un'altra volta, tagliò, eliminò, aggiunse e, soprattutto, rivide con molta pazienza, ricorrendo anche ai consigli di qualche amico specialista, la trascrizione fonetica del dialetto canicattinese, che si distingue da quello dei paesi limitrofi anche per la sua dolcezza cantilenante.

Fu un lavoro abbastanza lungo e probabilmente scoraggiante. Anche per la scelta del titolo si rimase indecisi fino all'ultimo. Tantissimi furono gli scambi di opinione, le discussioni, le spiegazioni, i chiarimenti. Ma alla fine il "gesto d'amore" fu pronto e nel maggio 1993 vide finalmente la luce, con una puntuale introduzione di Vincenzo Ficara, altro canicattinese di vaglia che probabilmente meriterebbe di essere meglio valorizzato.

In nota, aggiungendo una sorta di redde rationem, Cugno scrisse testualmente:"nel tentativo di lasciare un'esile traccia di questo nostro mondo che muore, abbiamo voluto qui riproporre, in perfetta umiltà e senza pretese, questa raccolta di frammenti qualificanti di quella che fu la parlata dei nostri padri. Una parlata semplice, rustica, stringata quanto si vuole, ma originale, efficace, di grande affetto e capace, con semplici battute di caratterizzare il modo di vita di quella società contadina da cui traiamo le nostre origini e di cui forse non ci sentiamo più figli".

Il comune di Canicattini, per la verità, sempre sensibile ai fatti culturali, capì l'importanza del libro di Santo Cugno. Capì che quell'operetta era una sorta di preziosa teca della memoria collettiva dove si conservano le radici di un'identità, un reliquiario dell'atavica dottrina di un paesino a vocazione contadina, ultimo avamposto degli Iblei verso il mare che guarda la Grecia. Ne acquistò delle copie da distribuire anche ai canicattinesi residenti all'estero, organizzò una serata culturale in onore di Cugno, con la presentazione ufficiale del libro. In quell'occasione il sindaco Bondì ebbe sincere parole di stima e di ammirazione per quel gentiluomo, che, seduto al tavolo della presidenza, lasciava tremolare la sua voce, preda della commozione, umidi gli angoli degli occhi.

Fu salvatore Bonanno, comune amico e sodale, a darmi al telefono l'afferale notizia con voce rotta dalla commozione e dall'incredulità. Cugno non c'era più. A poco più di un anno dalla pubblicazione del libro, a 78 anni, se n'era andato, s'era lasciato attrarre dalle malsanie o, chissà dalle sconosciute seduzioni dell'aldilà.

Ora, probabilmente, seduto in crocchio come un antico patriarca, a fianco di Antonino Uccello, leggerà le sue pagine ai misteriosi abitanti dell'Erebo, reciterà le litanie dei suoi proverbi e delle sue arguzie, compiaciuto nello sguardo e nel sorriso, e dirà loro che, prima della partenza, mi ha affidato altra raccolta...

E' vero. Ma ugualmente mi resta il rammarico di averlo conosciuto tardi, di non aver avuto il tempo di potergli carpire ancora qualcosa del suo prezioso bagaglio di umane esperienze. Indubbiamente con lui è andata via un'altra parte della storia della nostra civiltà.

Manghisi, agosto 1994

Enzo Papa

"LA SICILIA" (11 luglio 2001)

Un "Museo privato" nell'era del computer

Se è vero, come è vero, che il nostro futuro affonda irrimediabilmente le radici nel nostro passato, questo libro di Santo Cugno intitolato "Museo privato" edito da Flaccavento va guardato non solo con tenerezza ma anche con attenzione culturale. (LEGGI TUTTO)

Aldo Formosa